lunedì 21 dicembre 2009

In ricordo di Don Mario

Nel mattino di lunedì 9 marzo, il Signore Gesù, Buon Pastore, è venuto per prendere sulle sue dolcissime spalle e portare in Cielo il suo servo fedele, sacerdote e missionario DON MARIO BORTOLETTO (anni 70) .

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Don Mario è morto da “martire” sulle dimensioni della morte del Re dei martiri, Cristo Gesù.

Egli è vissuto secondo la parola di Gesù: “Un discepolo non è da più del suo maestro, né un servo da più del suo Padrone; è sufficiente per il suo discepolo essere come il suo Maestro e per il servo come il suo Padrone” (Mt 10,24).

Don Mario aveva assimilato molto bene e rese la sua “carne” queste indicazioni di Gesù, vero suo “Maestro e Padrone” per il quale si è donato fino in fondo, con tutte le sue forze di uomo secondo il cuore di Dio, ardente di zelo per Gesù e per il Vangelo, ardente di amore per la sua terra africana, per quella gente che ha amato fino alla consumazione di sé.

Egli ce lo ha dimostrato nel riserbo del suo “silenzio”, della sua “solitudine”, nella sobrietà di una esistenza che mirava a ciò che vale. La sua vera spiritualità è risaltata agli occhi nostri quando, per una banale caduta, si è spaccato il femore e fu costretto al ricovero in ospedale in Camerun. Qui ha vissuto la solitudine del Calvario, pari al suo Signore. Quei giorni in ospedale di Africa ci hanno rivelato lo spirito del grande missionario, schivo dalla popolarità e del plauso. Lui serviva il divino maestro con le attitudini dell’umiltà, della povertà, della virtù semplice e spontanea, che non faceva chiasso. Il suo spirito traspariva dal suo amabile sorriso e dal tratto nobile della sua dolcezza sulla misura di Gesù mite ed umile di cuore.

Dicevo che trascorse la sua ultima settimana in terra africana ricoverato all’ospedale per una banale caduta, come lui l’aveva descritta. Non sembrava niente o non così grave, certamente una caduta che richiedeva l’intervento chirurgico. Ma per la sua salute sono stati fatai i giorni del ricovero. Da qualche piccola confidenza che gli fu strappata , si è potuto cogliere il suo grande cuore: don Mario chiedeva un bicchiere d’acqua, ma l’infermiera accennava  che i bicchieri erano vuoti. Non si lamentava, era immobile a letto. Non gli venivano forniti né acqua né cibo perché gli ospedali africani non sono come i nostri. I parenti e amici provvedono per il sostentamento del loro familiare malato.

Don Mario si sentì SOLO CON IL SOLO, attese con pazienza il ritorno in Italia per essere operato. Ma dopo cinque-sei giorni di attesa estenuante, lo stato di salute andava a aggravandosi fino ad essere accolto in Italia in una condizione di salute dinanzi alla quale i medici hanno subito fatto presente che non c’era più nulla da fare. Fu ugualmente operato, ma una fibrosi andava fulmineamente minando i suoi polmoni. Don Mario fu soccorso con tutte le cure e gli interventi possibili. Ma il suo fisico dovette cedere. Durante i giorni di degenza, conservò la sua serenità, la sua pace, davvero riposato nel Signore, senza lamentarsi, accompagnava la sua lenta agonia, nella consapevolezza di essere un pochino più simile al suo Signore Gesù, agonizzante sulla croce.

In questi pochi giorni il Signore Gesù ha voluto che trasparisse ai nostri occhi il vero profilo di spiritualità del suo servo fedele e, diciamo pure, di santità. Per Gesù si è donato, per Gesù ha sofferto, per Gesù ha faticato nella sua vigna, nella foresta d’Africa, per Gesù, in Gesù e con Gesù ha chiuso gli occhi a questo mondo per aprirli alla trasfigurazione beata dl cielo.

Don Mario era nato a Padernello il 17 maggio 1938. Fu ordinato sacerdote il primo settembre 1963. Da subito chiese a Mons. Antonio Mistrorigo, vescovo di Treviso, di poter partire per la missione in Africa. Ciò avvenne nel 1967. Il Vescovo locale di Sangmelina, in Camerun, gli assegnò la cura pastorale della parrocchia di Maa’n, un luogo all’interno della foresta, sotto il centro di Ambam. Vi rimase fino al 2005 quando chiese al nuovo vescovo di Treviso, Paolo Magnani, di entrare a far parte dell’istituto del PIME come associato.

Durante i precedenti anni di lavoro missionario, Don Mario si era sempre appoggiato ai padri del PIME in una pastorale congiunta. Fu destinato alla comunità cristiana di Yaoundè, dove insieme a P. Fabio Bianchi, prese in carico la parrocchia di Ntem-a-si. Era una realtà piccola, ma con rilevanti problemi sociali, umani e religiosi. Ma Don Mario conservò sempre il suo stile di vita missionario, quello di stare acconto alla gente, di farsi carico dei problemi, delle sofferenze, di tutto ciò che è bagaglio culturale, morale, spirituale proprio dell’Africano.

Nel Frattempo aveva costruito anche due cappelline nei quartieri che di solito vengono invasi dalle acque nei mesi della pioggia.

Lui amava camminare, andare per le stradine e sentieri della parrocchia. L’ultima camminata gli causò la frattura del femore. Don Mario lavorava con zelo infaticabile, dove i suoi parrocchiani non muoiono di fame, perché la foresta fornisce loro frutta in abbondanza, ma sono popolazioni prive di altri mezzi necessari per difendersi dalle gravi anemie, che colpiscono soprattutto i bambini. Ma ci sono le malattie della malaria che portano al coma, la TBC avanzata, le gravi affezioni polmonari, le ernie strozzate, i parti difficili, per non parlare della realtà scolastica che non è gratuita neppure per i bambini delle elementari.

Don Mario è vissuto accanto ad una realtà di poveri in tutto, la cui maggioranza è costretta ad indebitarsi chiedendo aiuto un pò dovunque e quindi anche al parroco. Come egli poteva far fronte a simili situazioni d povertà materiali e spirituali?

Don Mario non era il tipo di chiudere gli occhi, né di tapparsi le orecchie; vedeva le miserie e ascoltava i gemiti, soccorreva per fare il possibile e l’impossibile, con coraggio, con fiducia, con sollecitudine evangelica: si è fatto povero tra i poveri, fratello tra i fratelli. SI DONAVA E BASTA !

E  non domandava nulla a nessuno, per non infastidire, per non far equivocare sulla sua prima missione, di evangelizzare, di portare la Buona Notizia, di sostenere i suoi cristiani nella fede in Gesù  e farsi accogliere e ben volere dai pagani senza lasciarsi strumentalizzare. A lui premeva essere missionario in CRISTO.

Ponte d’Amore Missionario si è reso disponibile per manifestargli qualche segno di vicinanza, di solidarietà, di espressione piccola, ma significativa per testimoniargli che non era solo.

Don MARIO apprezzava in maniera commossa tanta amorevolezza e partecipazione !

Quanta riconoscenza, quanto sorriso largo, quanta espressività di affetto quando gli è stato possibile fare una “passerella” costruita in una zona di foresta dove per nove mesi su dodici c’era inondazione che poteva raggiungere anche un metro e mezzo di altezza.

Scriveva nel marzo del 2001: “Cari amici di Ponte d’amore Missionario, vi mando queste foto che testimoniano la passerella in via di completamento grazie al vostro aiuto. Questa zona è il solo passaggio per la popolazione di 7 villaggi, per il quale possono accedere ad una cittadina dove c’è un ospedaletto per curare i malati e dove è possibile commerciare i loro prodotti agricoli.

L’idea è venuta quando, a causa di un’inondazione, non hanno potuto portare un malato all’ospedale, ed è morto così “stupidamente”. Gli aiuti ricevuti mi hanno permesso di realizzare questo progetto che faciliterà tante cose per quel migliaio di persone quasi tagliate fuori dalla società. Alla vista della quasi  riuscita realizzazione dl progetto, l’entusiasmo di quegli abitanti è salito alle stelle. Quindi anche a nome loro, ringrazio quanti mi hanno  aiutato e aiuteranno per la seconda passerella, meno lunga della prima di circa 200 m, che agevolerà altre popolazioni.

Abbiamo potuto sentire la voce, e con la voce, pulsare il suo cuore acceso di amore a Gesù Cristo e alle sue popolazioni, quando è venuto in Italia una delle ultime volte ed ha accettato di intrattenersi con noi. La chiesetta era gremita e tutti abbiamo potuto ascoltarlo e con lui vibrare nel suo entusiasmo di missionario della chiesa cattolica, come figlio della nostra terra, della nostra comunità parrocchiale di cui possiamo andare orgogliosi nel Signore.

Dopo quell’incontro egli ci scriveva: In quell’incontro seppure breve ho sentito che c’è “corrente”, che passa, si avverte una certa sintonia. Mi faccio vivo, sebbene in ritardo. Sono ritornato tra la mia gente, che si sta infossando sempre più… sia nel piano economico che sanitario. Da metà settembre è cominciata la scuola, e i genitori stanno facendo i salti mortali per iscrivere i loro figli.

In realtà non i vuole un gran che, ma metti insieme tassa di iscrizione, libri, quaderni, matite penne, poi c‘è il vestito (divisa obbligatoria per classe) e tante altre piccole cose che fanno diventare grande il  peso della scuola dei figli. Fanno pena questi bambini delle elementari che senza questa scuola, troveranno grosse difficoltà nella vita sociale. Allora immaginatevi la fila di colore che sperano di trovare un aiuto nel missionario, il quale non può rispondere a tutti.

Sul piano sanitario, la gente va all’altro mondo con troppa facilità, visto che l’assalto delle malattie che li fa morire è contenibile, trattandosi di malattie curabili, quali la malaria, infezioni polmonari, bronchiti, tubercolosi, infezioni intestinali…Su questo campo mi sono impegnato e ho creato dei depositi di medicine di prima necessità grazie agli aiuti che avevo portato dall’Italia, ma come ben sapete, ben presto finiscono.

Il messaggio evangelico per essere vero ed autentico, deve per forza occuparsi e salvare tutto l’uomo. San Giacomo l’ha ben richiamato alla sua comunità cristiana dei primi tempi. C’è una setta che sta penetrando con forza grazie al loro slogan”Gesù salva e guarisce”, che poi concretizza male cadendo in un miracolismo esagerato e programmando miracoli al buon Dio. Però hanno messo l’accento sulla totalità dell’uomo.

Cosa che non possiamo dimenticare: uno dei misteri principali della nostra fede è il NATALE, il figlio di DIO  SI è FATTO UOMO.

Possiamo cogliere anche da questi tratti di lettere l’ansia dl cuore del nostro carissimo compaesano missionario. Mi piacerebbe tanto continuare a descrivere il profilo umano, cristiano, sacerdotale e missionario di Don Mario. Resterà una figura modello a cui guardare per sentirci maggiormente motivati nella nostra debole fede. Egli ci ha dato un esempio concreto dell’’universalità della fede, cattolica ed apostolica, che non è solo del prete e del missionario, ma di ogni battezzato.

Don Mario è vissuto per 41 anni in Africa e , quando il vescovo gli proponeva un ritorno in diocesi, si rimetteva umile davanti a lui per chiedere di continuare a rimanere tra i suoi “negretti”: si era innamorato dell’Africa, della missione. Lo Spirito di Cristo gli aveva creato un legame inscindibile di vera ed autentica comunione con quella comunità.

Don Antonio

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